Tra Carnevale e Quaresima

di Milani

Nel Qoelet è scritto che c’è un tempo per ogni cosa: per la nascita e per la morte, per la pace e per la guerra, per il sorriso e il pianto… Questo mese di febbraio vede due diversi momenti e stili di vita: la festa e la penitenza. Ecco il pensiero di monsignor Claudio Livetti, già prevosto di Busto Arsizio


Ai nostri tempi è sempre un po’ Carnevale, ma in forza del consumismo e del commercio, che coinvolgono la vita sociale, in questo tempo è un po’ più Carnevale del solito. Nelle vetrine dei negozi e negli stand dei supermercati vediamo mascherine, costumi, stelle filanti, coriandoli e botti d’artificio. Il Carnevale può essere uno sfogo salutare per tutti gli studenti, che escono dalle fatiche del primo quadrimestre scolastico. Pur senza competere con le coreografie di Viareggio e coi costumi di Venezia, anche le nostre città vedranno sfilare nei centri storici i carri allegorici degli oratori e dei rioni. Non mancheranno anche le maschere tradizionali, che coinvolgono il mondo degli adulti. A Busto Arsizio ricompare la maschera maschile del Tarlisu e quella femminile della Bumbasina. Alcuni buontemponi burloni aspettano Carnevale per divertirsi e far divertire con qualche scherzo piacevole. Però purtroppo c’è anche chi si serve del proverbio “a Carnevale ogni scherzo vale” per esprimere il proprio cattivo gusto e fare danni con spry e schiume, quando addirittura non con polverine urticanti o fialette puzzolenti. Tutto questo spiace, ma purtroppo dicono che la madre degli imbecilli è sempre incinta.
Con l’audace imperativo: “Ricordati uomo che sei polvere e in polvere ritornerai” la comunità cristiana richiama i suoi fedeli ad un periodo di particolare austerità, che non dovrebbe essere minore del Ramadam che celebrano i musulmani.
Non voglio entrare nei dettagli delle penitenze alimentari: ci pensano già gli esperti di diete e vi facevano accenno le nonne col proverbio: “Ne uccide più la gola che la spada”. Per me la Quaresima è una duplice palestra di sosta meditativa e di silenzio.
Mi associo a quanto diceva il Cardinal Martini affermando che la vera differenza non è tra praticante e non praticante, tra credente e non credente, ma tra pensante e non pensante. Il primo regalo che dovremmo farci nei quaranta giorni prima di Pasqua dovrebbe essere proprio quello di prenderci delle pause per pensare, riflettere, meditare con calma. Sono realtà che la cultura delle immagini ci ha un po’ scippato e rischiamo di vivere in modo superficiale.
Un altro regalo è la valorizzazione del silenzio. Ci sono silenzi da evitare: quello caparbio, che non stima l’interlocutore; quello punitivo, che può ferire più delle parole; quello vendicativo, che toglie il coraggio della ripresa del dialogo; quello connivente, che non definisce e non condanna il male; quello colpevole dei genitori e degli educatori, che non hanno il coraggio di correggere. Ci sono invece silenzi da coltivare: quello mite, che non reagisce alle provocazioni; quello comprensivo, che non punta il dito sugli sbagli altrui; quello paziente, che attende il lento germogliare del seme; quello umile che lascia anche ad altri lo spazio dell’onore; quello contemplativo, che ricarica di speranza.
Auguro a tutti quelli che si alleneranno nella meditazione e nel silenzio di arrivare ad un felice epilogo. Il cammino quaresimale infatti non finisce in un sentiero interrotto, ma nella festa più importante dell’anno cristiano: la Pasqua, cioè una croce (per tre ore) e un sepolcro vuoto (per l’eternità).

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