Il valore della festa della natività
Mentre la guerra è tornata alle porte, monsignor Livetti, già prevosto di Busto Arsizio ricorda i suoi Natali della fanciullezza durante il secondo conflitto mondiale
“Il dono, gli affetti, la pace”
di monsignor Claudio Livetti
La festa pagana del Sole invincibile è diventata la festa cristiana della natività. Una festa che ha assunto connotati diversi in questa epoca di secolarizzazione e tuttavia ha sempre una valenza molto ricca e significativa.
Il valore del dono
I bambini, ritornando a scuola dopo le vacanze natalizie, si confidano quali doni hanno ricevuto. Ma anche gli adulti sono contenti se è stato fatto loro qualche dono bello, gradevole, utile. Pur essendo vero che l’essere vale più dell’avere, è altrettanto lapalissiano che se uno non ha proprio niente, finisce per non essere niente. Penso a chi sta aspettando un “pacco dono” della Caritas, nella speranza di non trascorrere un Natale di fame. Non si può accettare l’esagerazione consumistica che spinge all’ansia degli acquisti e alla corsa del contraccambio. Questo può essere una deformazione del dono, diventando una specie di tacito e subdolo contratto: ”Ti faccio questo regalo perché poi mi aspetto …”. Ci può essere anche il dono che camuffa una restituzione: è il caso di chi copre di regali i figli che ha abbondantemente trascurato o nasconde alla moglie la sua doppia vita con un regalo vistoso. Credo però che un dono sincero, gratuito, espressione di stima e di legami affettivi sia molto importante, non soltanto se realizzato con un oggetto, ma anche con una semplice chiamata telefonica, con un augurio non banale nella e-mail, con un incontro amichevole dopo tanto tempo, con un saluto “Buon Natale” fatto col sorriso.
Il valore degli affetti
Si esprime con lo stare insieme in modo tranquillo, non avendo l’assillo del lavoro e della scuola. Stare insieme per poter parlare e soprattutto ascoltare ed essere ascoltati. Per i credenti è bello vivere insieme i momenti religiosi, come la Messa di Mezzanotte. Per tutti è immancabile il momento del pranzo patriarcale, con la riunione del clan familiare al completo, con le tre generazioni (nei casi più fortunati quattro generazioni, se ci sono bisnonni o prozii). Non è tanto l’abbondanza e l’ottima qualità del cibo, ma la serenità del clima e degli affetti. Quando in famiglia ci sono dei bambini che trasmettono la gioia prorompente nell’aprire i regali oppure il piccolo che recita la poesia, sempre bella e applaudita, anche se “s’impappina”, gli animi arrivano al massimo della felicità. Non mancano i ricordi di famiglia e magari i rimpianti: ”Come sarebbe bello se ci fosse ancora qui la nonna…”. C’è qualche famiglia che non si accontenta del turismo cimiteriale di inizio novembre, ma proprio a Natale non vuole trascurare una visita al camposanto. Una volta era d’obbligo giocare a tombola e trascorrere insieme tutto il pomeriggio, fino al… brodino serale. Alla fine del periodo natalizio non ci si deve domandare se il Natale sia stato bello, ma se sia stato vero, cioè una sinfonia di affetti gratificanti.
Il valore della pace
È l’augurio degli angeli di Betlemme agli “uomini di buona volontà”. C’è purtroppo un conflitto russo-ucraino dietro l’angolo di casa e sono accese guerre e guerricciole in tanti angoli del mondo. Non a caso Papa Francesco ricorda che è in atto una guerra mondiale a pezzi. Léon Bloy afferma: ”Il soffrire passa, ma l’aver sofferto non passa”. Infatti, io non posso dimenticare i cinque Natali “rubati” alla mia fanciullezza dalla Seconda guerra mondiale ‘40-‘45. C’era la legge dell’oscuramento: doveva essere tutto buio, per timore dei bombardamenti, e nel ‘43 e ‘44 c’era in più il coprifuoco imposto dagli occupanti nazisti. Perciò, non si poteva celebrare la Messa di Mezzanotte: con fatica le nostre mamme cercavano di supplire alla scarsità del cibo, razionato con le tessere annonarie; durante il pranzo non mancava mai il richiamo a “quel povero ragazzo là…”: il cugino Pierino caduto sul fronte albanese. Dobbiamo convincerci che la guerra è una follia e che i problemi vanno risolti senza il ricorso alle armi, di cui sono pieni gli arsenali. Quando chiedo a Dio il pane quotidiano, domando anche la pace possibilmente oggi: domani potrebbe essere troppo tardi, perché i missili atomici sono in posizione e potrebbe accadere che qualche pazzo dia l’ordine di lanciarli. Speriamo in un ”Cessate il fuoco” in occasione del Natale e auspichiamo che nessun bambino o ragazzo debba portare in cuore fino a novant’anni, come me, il triste e tragico trauma psicologico di un ricordo di guerra. Un Natale di pace sarebbe il miglior Natale!