Monsignor Claudio Livetti, già prevosto di Busto Arsizio, ci ricorda quali sono, storicamente, i motivi per cui si canta
“A tutti piace frequentare una chiesa dove si canta come Dio comanda”
di monsignor Claudio Livetti
Si canta per amore
È Sant’Agostino ad affermare che il canto è segno di un cuore che ama. Un cuore esasperato urla, un cuore sopraffatto dall’ingiustizia protesta rumorosamente, un cuore schiacciato dal dolore esprime lamenti incontrollati. Canta invece la giovane madre sulla culla del neonato per dimostrargli il suo affetto o sul lettino del fanciullo che fatica ad addormentarsi. Canta l’innamorato alla sua bella, per creare l’atmosfera di Giulietta e Romeo. Canta il cultore di Bacco, dopo aver fatto onore a diversi bicchieri: l’amore del vino ha fatto nascere i canti da osteria. Canta il soldato che vive con amore il suo servizio alla Patria: come non ricordare l’Inno del Piave della Prima Guerra mondiale e il canto consolatorio (purtroppo di origine tedesca) della Lili Marlene della Seconda Guerra? Cantava la mia mamma, mentre cucinava o stirava: voleva creare per me che giocavo e la osservavo un clima di gioia nella casa, allora fortunatamente non invasa dalla televisione, come purtroppo adesso avviene. Il materialismo dei nostri giorni ha spinto al canto per amore di guadagno: si partecipa ad un Festival con la speranza di realizzare qualche incisione che porti a casa molto danaro.
Si canta per compagnia
Uno che parla da solo preoccupa: deve avere qualche problema da risolvere. Si parla per comunicare e il canto è comunicazione canora. Più si fa esperienza di condivisione e più si esprime nel canto comune. L’esempio più eclatante è quello degli alpini. La fatica dell’affrontare le asperità della montagna, l’esperienza di spartire il poco cibo rimasto, di passare la borraccia con l’ultimo goccia, di fare una ritirata storica come quella dalla Russia, crea un clima che si radica nella vita e trova sfogo nel canto insieme. Dopo decenni di quelle esperienze sono vivissimi i cori degli alpini. Si sono invece persi i canti delle “mondine”, che lavoravano insieme nelle risaie piemontesi e della bassa lombarda. Si devono cercare tra gli amatori di cose antiche i canti della mietitura e quelli della vendemmia. La meccanizzazione dell’agricoltura e della viticoltura e l’individualismo hanno cancellato pezzi di storia. Per trovare spirito di corpo si devono ascoltare oggi i canti dei movimenti: i ciellini hanno i loro canti tipici, inconfondibili, tramandati di generazione in generazione, così pure gli aderenti al Rinnovamento nello spirito, i neocatecumenali e gli associati nell’Azione Cattolica.
Si canta per fede
La fede genera preghiera. La Bibbia riporta molte storie di canti: quello di Mosè, dopo aver attraversato il Mar Rosso, quelli di Davide quando era il menestrello di Saul e quando poi, ispirato da Dio, compose molti Salmi, il canto dei tre giovani nella fornace infuocata. Chi dimentica il canto degli Angeli a Betlemme? O gli Osanna esultanti dei bambini che accolgono Gesù a Gerusalemme? O il canto degli angeli e dei beati di cui è strapieno l’Apocalisse? La Chiesa cattolica con la nascita del monachesimo si è espressa col canto gregoriano, un canto monodico, e con altri canti sacri accompagnati con strumenti musicali del tempo. Gli ortodossi hanno fatto il rifiuto netto di strumenti, cantando sempre a cappella. I protestanti hanno avuto grande sviluppo coi corali popolari eseguiti nella lingua parlata. Noi cattolici abbiamo favorito lo sviluppo della polifonia sacra e abbiamo dato un ampio sostegno allo sviluppo all’arte organaria, perché l’organo a canne è il re degli strumenti e ogni chiesa ha voluto dotarsene. Purtroppo soltanto negli anni Sessanta del secolo scorso si è introdotta nella liturgia l’uso delle lingue parlate, lasciando il latino solo nelle circostanze eccezionali. Sono nati canti belli e altri meno, sostenuti non più dall’organo ma dalle chitarre e da altri strumenti. Chi canta prega due volte ed è bello quando il canto è eseguito da tutta la comunità cristiana e non è riservato solo al coro della cappella un po’ ”Sistina” e un po’ “Si stona”. Credo che i due patroni della musica sacra, San Giovanni Battista e Santa Cecilia, qualche volta si tappino le orecchie ascoltando esibizionismi smodate, stonature solenni, miagolii sconsolati. A ciascuno di noi piace frequentare una chiesa dove si canta come Dio comanda.