L’insegnamento rimane più una prerogativa femminile, non solo a scuola. Ecco la riflessioni di monsignor Claudio Livetti, già prevosto di Busto Arsizio
di monsignor Claudio Livetti
Chi educa è nella stessa situazione di chi naviga: se non ha la bussola, rischia di perdere la rotta e di non saperla indicare a chi sta educando. La donna ha ricevuto questa bussola dal buon Dio: fa parte della “marcia in più” della femminilità.
La donna educatrice in famiglia
Madre Rosa Luvié, preside dell’Istituto Magistrale Maria Immacolata, si preoccupava di preparare le sue alunne ad essere mamme educatrici. Un compito meraviglioso, perché chi educa un uomo educa una persona, chi educa una donna educa un popolo. La donna porta in grembo il figlio, lo dà alla luce, gli garantisce fin dai primissimi istanti dell’esistenza cibo, bevanda, energia e amore. Il seno non è solo nutrimento. È affetto, attenzione, prossimità, fiducia, amore.
Ma dopo la soglia dell’infanzia cosa si attende un fanciullo e un ragazzo da sua madre? Conforto, luce, presenza non invadente, capacità di riconciliare, lodare e perdonare. È quanto esprime Giovanni Pascoli nel poema “I due Orfani”. Egli descrive in modo pungente il dialogo di due fratelli dopo la morte della mamma, la sera, mentre sono a letto: “Or nulla ci conforta, | e siamo soli nella notte oscura. | Essa era là, di là di quella porta; | e se n’udiva un mormorio fugace | di quando in quando. | ed or la mamma è morta. | Ricordi? Allora non si stava in pace tanto tra noi … | Noi siamo ora più buoni | ora non c’è più chi si compiace di noi | non c’è più chi ci perdoni”.
La donna educatrice nella scuola
Ciascuno ricorda il suo periodo scolastico, distinguendo gli insegnanti “venditori di notizie” e i veri educatori: quelli che entravano in classe con autorevolezza e amorevolezza (binomio caro a Don Bosco). Per me, nato nella prima metà del secolo scorso, sono incancellabili i ricordi di Suor Giacinta dell’asilo, della mia maestra delle elementari: a quei tempi una sola per tutte le materie. Che rimpianti quando in quinta è arrivato un maestro, reduce dal fronte di guerra, ferito e mutilato. Quando ho insegnato lettere nella scuola media avevo come modelli ispiratori le mie professoresse educatrici. Ho rimosso il ricordo della prof di matematica: chissà perché, queste insegnanti sono spesso molto temute e non amate. Le insegnanti educatrici fanno imparare ad andare avanti verso un futuro sicuro e sereno. Non basta muovere passi: anche il criceto lo fa e percorre chilometri, ma resta sempre allo stesso punto, perché gira sempre sulla stessa ruota. È triste quando un alunno non cresce e non fa progressi.
La donna educatrice nella comunità cristiana
In questi nostri tempi abbiamo visto una fioritura di figure femminili educatrici: allenatrici sportive, direttrici di coretti liturgici, responsabili laiche di oratori, soprattutto catechiste. In passato questo compito era svolto, inizialmente, dalle mamme e, successivamente, sviluppato dai preti e dalle suore. Oggi le nostre Parrocchie non potrebbero vivere senza questa schiera di catechiste, vere “testimoni di gioia”. Mentre qualche pessimista dice che il messaggio cristiano ha perso di bellezza, le catechiste, lasciando trasparire la loro fede matura, insegnano che il Vangelo di Gesù è sempre meraviglioso e che la sua Persona non ha mai smesso di essere affascinante. È un compito sempre più importante, perché non trasmesso da tutte le famiglie. Le catechiste, specialmente se non ragazzine tra i quindici e i vent’anni, ma mamme o insegnanti, sono annunciatrici del Vangelo (buona notizia) e trasmettono una carica di vigore e di gioia. Sono veramente educatrici religiose sagge quando non impongono di entrare nella dimora della loro sapienza cristiana, ma guidano i ragazzi e gli adolescenti alla soglia di libere scelte personali, che saranno la rotta per la navigazione della propria vita.