Fino al 16 settembre a Gallarate sarà possibile vedere “Doppio spazio”, che racconta 60 anni di ricerca nell’ambito dell’arte contemporanea astratta da parte di Paolo Masi. Non una mostra cronologica, ma un percorso emozionale. Armato di Polaroid, l’85enne fiorentino ha anche realizzato una nuova opera lungo le strade della Città dei Due Galli
di Alessia Zaccari
Installazioni, plexiglass, cartoni, tombini, polaroid, specchi e tele cucite: questi alcuni degli strumenti attraverso cui Paolo Masi ha saputo raccontare la sua vita. Una vita fatta di viaggi, incontri, scoperte e avventure urbane oggi esposta al MA*GA di Gallarate fino al 16 Settembre nell’antologica “Doppio spazio”. Materiali differenti, che puntano a mutare la percezione dello spazio, raccontano 60 anni di ricerca artistica nell’ambito dell’arte contemporanea astratta.
Il progetto, fortemente voluto dalla direttrice Emma Zanella e curato da Lorenzo Bruni in stretta collaborazione con il MA*GA e con la galleria fiorentina di Simone Frittelli propone opere che rappresentano i passaggi chiave della carriera dell’artista che ha affrontato, decennio dopo decennio, i limiti e le potenzialità dell’oggetto quadro, della pittura astratta e dell’arte come atto politico.
Non una mostra cronologica, ma un percorso emozionale. “Guardare le persone, incontrarle, conoscerle, questo è essenziale per la mia ricerca artistica.” racconta Masi: “Non potrei stare chiuso in uno studio a dipingere e basta, ho bisogno del mondo e della sua vita.”
Per l’esposizione di Gallarate Paolo Masi ha realizzato una nuova opera proprio in città: armato di Polaroid l’85enne ha percorso le strade di Gallarate soffermandosi sui tombini, sui punti luce, sulle transenne e sui marciapiedi. E’ il senso della meraviglia, dello stupore, dello scoprire e dello sperimentare ancora che accompagna l’artista fiorentino nel portare alla luce alcune intuizioni, nel mettersi a cavallo tra pittura, scultura e fotografia. A New York Masi acquistò la prima Polaroid e proprio lì realizzò la prima serie di istantanee dedicate alla realtà urbana, ai tombini in particolare. La griglia per terra, un pezzo di asfalto, l’impronta di una scarpa: le tracce del vivere sono sempre state nel suo interesse.
Legati al tema della strada ci sono anche due quadri del 1962. Qui, come in una sinestesia, l’opera intende riprodurre con il linguaggio visivo il suono del rombo di una moto. Non su tela, ma su faesite, materiale durissimo utilizzato proprio per imprimere segni netti e secchi. Non ci sono segreti, Paolo Masi racconta al pubblico tutti gli aspetti del mestiere con la naturalezza di un ragazzo alla scoperta del mondo. La visione della realtà è però quella di chi ha vissuto e ha attraversato la vita in tutte le sue pieghe. “Se sono io un artista, siamo tutti artisti. Io sono solo un uomo che vuole comunicare qualcosa e su quella cosa mette tutta la sua esperienza, che non è stata semplice, non è stata facile, ma è stata importante”.