Sabrina Giussani, past presidente di Sisca (Società italiana scienze del comportamento animale) analizza in che modo si è evoluto lo studio dell’apprendimento degli esseri non umani
“Oggi si utilizzano tecniche di risonanza magnetica funzionale”
di Sabrina Giussani
Una caratteristica che accomuna molti esseri viventi è la capacità di cogliere i legami (nessi causali) tra avvenimenti: a un evento ne segue un altro, uno stimolo produce una risposta. I primi ad aver studiato sperimentalmente i legami associativi (apprendimento) sono stati Pavlov, Nobel nel 1904 e Skinner. Per tutta la prima metà del Novecento, il concetto di mente come “scatola nera” è rimasto una sorta di tabù inviolabile. L’antropocentrismo in vigore a quell’epoca, imponeva di porre un confine ben definito: l’animale era considerato un automa privo di un mondo interno capace di assegnare all’individuo una soggettività.
Il comportamento, espressione del sistema
Intorno alla metà del Novecento Edelman, LeDoux e tanti altri, prendendo spunto dalle nuove teorie proposte dalla Neurobiologia (la scienza che studia il sistema nervoso, considerato come un’organizzazione di cellule all’interno di circuiti neurali) e dalle Scienze Cognitive (quelle che analizzano la cognizione di un sistema pensante, sia esso naturale o artificiale), hanno manifestato interesse per conoscere “che cosa c’è dentro la mente”. Parallelamente, intorno al 1970, le ricerche di Tolman, Bandura, Piaget e tanti altri hanno posto le basi per le teorie dell’apprendimento cognitivo, opposte a quelle skinneriane. Gli psicologi dell’apprendimento “erano convinti che gli eventi mentali e cognitivi non potessero più essere ignorati.” L’approccio mentalistico considera il comportamento come la manifestazione della condizione della mente: i comportamenti non sono entità separate, ma l’espressione del sistema.
Emozione, motivazione, azione
I ricercatori hanno evidenziato che anche l’animale, così come l’essere umano, quando apprende costruisce rappresentazioni e non condizionamenti. Un comportamento è composto, quindi, di un’emozione, una motivazione cui fa seguito un’azione motoria.
Nuovi metodi d’indagine
Le analogie strutturali tra il cervello dell’essere umano e quello del cane, del gatto e di numerosi mammiferi hanno permesso di tracciare un’analogia per quanto riguarda il funzionamento. Nuovi metodi d’indagine non invasivi nell’ambito della genomica, dell’istologia e del neuroimaging hanno reso il cervello accessibile allo studio diretto. Inoltre, studi comparati, metodi impiegati parallelamente nell’analisi delle funzioni cognitive degli scimpanzé, degli altri primati non-umani e, risalendo la scala zoologica, delle altre specie di mammiferi fino a quelle meno evolute, cominciano a fornire un nuovo e dettagliato quadro di somiglianze e differenze. Un recente studio, grazie a tecniche di risonanza magnetica funzionale, ha dimostrato che il nucleo caudato (una parte del cervello sede dei processi cognitivi) del cane si attiva come risposta a un segnale emesso dal proprietario (ricompensa/ non ricompensa). Inoltre, altri studiosi hanno sottoposto cani ed esseri umani conoscitori/incompetenti del comportamento del cane a risonanza magnetica funzionale. Lo studio ha evidenziato che alla vista di altri cani/esseri umani, si attivano negli uni e negli altri le stesse zone: la corteccia occipitale, i poli temporali, l’amigdala, le parti posteriori e superiori del solco temporale, il giro frontale inferiore la parte dorsomediale della corteccia frontale bilateralmente. Questa ricerca ha, inoltre, mostrato che alcune cellule neurali, i neuroni specchio la cui presenza è dimostrata in alcuni primati e negli esseri umani, “sparano” non solo alla vista di azioni svolte da conspecifici (esseri umani verso esseri umani) ma anche da soggetti di altra specie (esseri umani verso cani).