L’arte benedetta dal Papa

di Andrea Mallamo

I consigli don Dario Viganò, tra i massimi esperti di linguaggi della comunicazione, ai giovani che vogliono imparare a fare i registi o che postano video sui social

di Chiara Milani

Accademico, scrittore e presbitero lombardo, don Dario Viganò è tra i massimi esperti dei linguaggi della comunicazione. Lo abbiamo contattato in Vaticano in occasione della presentazione del suo ultimo libro, intitolato Lo sguardo porta del cuore – il neorealismo tra memoria e attualità, pubblicato dalla casa editrice Effatà, con una lunga intervista a Papa Francesco.

Si sa che il cinema è nel cuore di questo Pontefice, più volte attento a questo patrimonio anche nelle sue citazioni, ma che cosa l’ha colpita di più di questa intervista, in termini di attualità?

Innanzitutto l’intervista nasce in una condizione di confidenza, di scambio di conoscenze: sono anni che, con il Papa, dialoghiamo su alcune sue esperienze. Da tempo lui mi regala alcune cimeli di memoria cinematografica. Ci sono due aspetti in particolare importanti in questa intervista: il primo è che Papa Francesco vede il cinema non come un oggetto su cui porre un’attenzione morale censoria o educativa, bensì come più testi che costituiscono il sapere, al punto tale che li cita proprio come fonti all’interno dei suoi documenti magisteriali. La seconda cosa che mi ha incuriosito molto, e che credo sia un po’ la novità, è la proposta che il Papa fa di costituire una mediateca. Cioè, accanto alla biblioteca apostolica e all’archivio apostolico, costituire una mediateca che possa raccogliere la storia audiovisiva delle istituzioni.

A Busto Arsizio opera l’Istituto cinematografico Michelangelo Antonioni, il maestro che partì proprio dal neorealismo. Qual è il suo consiglio ai giovani aspiranti registi che desiderano raccontare i tempi difficili del giorno d’oggi?

Diciamo che c’è un tema culturale, che è complesso. Cioè, il primo dato è assumere la consapevolezza che, seppur noi non possiamo uscire dalla piattaforme digitali e sociali, e necessario a un certo punto mettere un blocco, perché come dice l’attacco del bellissimo libro La conversazione necessaria, tanto più noi siamo iperconnessi e ci illudiamo di poter fare più cose, tanto più perdiamo la capacità di esprimere emozioni, mentre in un racconto di immagini bisogna saper raccontare emozioni attraverso le immagini. Allora, questo è il primo dato: cioè, chi vuole fare questo tipo di lavoro deve imparare a osservare, a guardare la realtà concreta, a girare nelle strade, a guardare negli occhi, a stringere le mani, ad abbracciare: altrimenti non saprà raccontare nulla. Poi io credo che questo sia un bell’esercizio, anche a scuola, negli oratori, nei circoli culturali. Cioè, avviare per esempio il racconto del proprio business, delle proprie radici, delle persone che io conosco che cercano un lavoro o che si sono separate: tutte quelle piccole storie di vita che possono essere raccontate, ma nel cui racconto per immagini faccio emergere le emozioni perché io condivido quell’emozione. Questo è un esercizio molto bello per riappropriarci della forza di conversare realmente con le persone e di saper descrivere le emozioni.

Lei ha citato anche i social: sempre a Busto Arsizio abita don Alberto Ravagnani, il prete youtuber dell’oratorio San Filippo Neri a San Michele, che ha tantissimi follower: ecco lei che cosa ne pensa di questo nuovo modo di raccontare la fede?

Diciamo che, come sempre in tutti i modi, ci sono delle grandi opportunità e dei grandi pericoli. Nel senso che i social soprattutto non solo il luogo del dialogo pacato, sono piuttosto il luogo dell’invettiva violenta e se si decide di abitare questi luoghi certamente si deve mettere in conto anche queste cose. Poi certo poi ognuno conosce il suo territorio e le persone che lo abitano e fa le scelte migliori. Io credo che davvero noi abbiamo bisogno di uomini e donne del Vangelo che siano tenori credibili e significative. Penso che i giovani possano trovare in un’esperienza del genere una parte almeno di interesse, a partire dal quale poi incontrare personalmente un sacerdote, un amico per giocare a pallone in oratorio e quindi, se così fosse, è una cosa molto interessante. 

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