Giocare col teatro

di Andrea Mallamo

Il bustocco Luca Borsa intervista il collega Luca Bellini, game designer, architetto e  presidente della onlus Barabba’s Clowns, che ha sede ad Arese, nell’Alto Milanese

“Da giovane una delle mie passioni era il palcoscenico: decisi di partecipare ad un corso di clownerie …e rimasi fregato! Dopo una trentina d’anni faccio ancora parte della Barabbas’ Clowns onlus e da una decina d’anni sono pure finito a farne il Presidente”: si racconta così, con parole semplici, Luca Bellini, architetto, game designer e  presidente della Onlus Barabba’s Clowns: “Certi incontri ti rapiscono ed io ho avuto la fortuna di incrociare questa realtà il cui spirito sono i giovani, ma il cui cuore sono persone fantastiche che hanno deciso di dedicare la loro vita all’accoglienza dei ragazzi in difficoltà”.

Il teatro è un forma di gioco non a caso in inglese il verbo to play significa sia giocare che recitare: come nasce l’idea di portare i clown a recitare? E che tipo di riscontro avete avuto?

La magia nasce un giorno di ormai oltre 40 anni fa, con l’amore sbocciato a prima vista tra i ragazzi e la figura del clown che venne loro presentata da un obiettore di coscienza appena arrivato lì per prestare servizio, Bano Ferrari: nel naso rosso quei giovani trovarono una maschera dietro cui esprimersi con maggiore coraggio e i sorrisi donati al pubblico furono per loro fonte di un orgoglio troppo spesso mancante nelle loro vite. Il nostro modo di fare teatro è un gioco, a partire dalla costruzione dello spettacolo sino alla messa in scena che spesso coinvolge il pubblico in modo diretto: al centro di tutto vi sono il divertimento e la fantasia.

La vostra associazione è molto vicina ai problemi della collettività e soprattutto dei giovani: in che modo ve ne fate carico e quali strumenti utilizzate ?

Si può capire molto di “chi siamo” dalla storia del nostro nome. A Milano i “ragazzi difficili” venivano chiamati “Barabit”, piccoli Barabba. Quando si strutturò il primo gruppo, ai ragazzi venne detto che dovevano darsi un nome. Risposero: “Vogliamo essere i clown di Barabba!”. Vollero quel nome per affermare che anche per loro era possibile un riscatto. Attorno a questo gruppo si è poi sviluppata la dimensione educativa: le comunità familiari, gli appartamenti per l’autonomia, l’aggregazione strutturata e molte altre attività e progetti.

Lavorate anche fuori dai confini nazionali, in Africa, dove sicuramente la vita è più semplice e in sintonia con la natura: come nasce questo ulteriore progetto? 

Uno dei punti fermi della nostra storia è stata la missionarietà, con progetti in Sud America ed Africa, il che ha condotto molti di noi in Perù e Rwanda, perché i nostri ragazzi le cose le volevano vedere di persona! L’incontro con la povertà vera di questi luoghi ha fatto tornare a casa tanti giovani con consapevolezze diverse su quello che la vita gli aveva dato, nonostante le difficoltà.

Abbiamo vissuto un anno difficile, dove le relazioni umane sono state messe alla prova: quale augurio o speranza hai per la tua associazione, ma in generale per i bambini, i ragazzi, i giovani, che spesso sono più fragili? 

I ragazzi delle nostre famiglie che hanno dovuto subire pesanti limitazioni nel loro vivere quotidiano, che li hanno costretti a imbrigliare l’energia della loro gioventù, ma lo hanno fatto con dignità e responsabilità. È stato un anno molto difficile pure pensando ai ragazzi di Musha, perché anche in Rwanda la pandemia è arrivata ed ha messo ancor più in difficoltà chi già lo era, riportando tante persone a condizioni di bisogno assoluto: oggi più che mai hanno bisogno di un aiuto.

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