Fisico o digitale

di Andrea Mallamo

Il game designer bustocco Luca Borsa intervista l’esperta di marketing Daniela Pavone, che ha lavorato per diverse multinazionali nel settore dei giocattoli per capire quale sia il modo migliore per progettare qualcosa per i bambini

di Luca Borsa

Moglie, mamma di una meravigliosa quasi 18enne, professionamente l’entertainment e il marketing sono stati il driver della mia vita”, così si descrive Daniela Pavone: “Tanti meravigliosi capitoli in questo racconto ormai lunghino… gli anni passano: grandi aziende multinazionali, tanti giochi diversi, oltre al giocattolo anche il calcio, proprie start-up e tanti sogni di cambiare il mondo. Da poco ho cambiato gioco ancora e per fare il direttore marketing di una importante realtà del settore”.

Tu sei una grande esperta: quale dovrebbe essere per te la funzione del giocattolo fisico in un mondo che si sta sempre più digitalizzando?

Più che esperta, sono una persona che ha vissuto e vive tanti marchi molto vicini al mondo dei bambini e dei ragazzi. E forse, la cosa più importante, che non ha dimenticato il bambino che c’è in tutti noi e che prova a farlo vivere ed esprimere il più possibile. Sono una digitale appassionata da sempre, ma credo che il fisico, in generale, in questo momento storico abbia un’importanza fondamentale. Senza digitale, la nostra vita nell’ultimo anno si sarebbe congelata… anche nei momenti peggiori di questa pandemia, invece, abbiamo potuto continuare a lavorare, a seguire i nostri percorsi scolastici, siamo riusciti a comprare le cose che più ci servivano e a vedere le persone a noi care… quindi, il digitale è stata ed è una risorsa incredibile. Ma oggi più che mai tutti noi sentiamo il fortissimo bisogno della fisicità che ci manca ogni giorno di più, perché niente può sostituire l’emozione della socialità fisica e dei sensi che il digitale certamente non attiva. Credo che questo valga fortemente anche per il giocattolo… ancor di più per i bimbi più piccoli, per i quali diventa uno strumento fondamentale per il loro sviluppo fisico e psicologico. Un primo essenziale mondo in miniatura da imparare, da vivere e da riempire di emozioni.

Come ci si dovrebbe approcciare quando si progetta qualcosa, non soltanto i giochi o giocattoli, che vedono i bambini protagonisti?

Credo che serva l’approccio un bambino! E’ un esercizio che prima di tutto farebbe bene a noi, che ci prendiamo spesso troppo sul serio e pensiamo di avere la verità in tasca… Ci aiuterebbe anche, probabilmente, ad avere quella flessibilità e propensione al cambiamento che di questi tempi è ancora più necessaria. Vedere il mondo attraverso gli occhi dei bambini ci permette di connetterci davvero a loro e di non innamorarci di idee e concetti che sono in realtà anni luce lontano dalla loro visione delle cose e da quanto davvero li ingaggia, li emoziona e li fa innamorare. Quindi… le parole chiave per me sono ascolto e connessione. Ascoltare i bambini e connettersi con loro, capirli per poter progettare qualcosa che sia rilevante per loro, che li coinvolga davvero.

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