Infelici & contenti

di Milani

Massimiliano Magrini – già country manager di Google Italia, co-fondatore e managing partner di United Ventures, fondo di venture capital specializzato in tecnologie digitali – invita gli imprenditori ad agire “Fuori dal gregge”, come ha intitolato il suo libro sulla filosofia dello sviluppo, fresco di stampa

 

di Chiara Milani

Che cosa hanno in comune geni di epoche e campi diversi, come Colombo, Copernico, Einstein e Leonardo da Vinci? Sono tutti espressione di quello che, nel libro Fuori dal gregge, viene definito “pensiero divergente”. A spiegarci che cos’è e perché anche le aziende del nostro territorio sono incoraggiate a svilupparlo è l’autore, Massimiliano Magrini, co-fondatore e managing partner di United Ventures, fondo di venture capital specializzato in tecnologie digitali: “Per generare innovazione, cambiamento, sviluppo, ci sono delle condizioni necessarie, anche se non sufficienti. Il motore è quasi sempre il profondo livello di insoddisfazione di un individuo rispetto a quello che c’è e la capacità d’immaginarsi qualcosa di diverso. Da questo bisogno scaturisce il coraggio di questi soggetti di costruire qualcosa di davvero differente dall’esistente. Di solito ci sono anche costi da pagare, sia a livello di singolo, sia di società, ma la contropartita è il benessere economico e sociale. Ecco perché c’è bisogno di persone che abbiano un approccio diverso”.

Da come lo descrive, il cambiamento dell’economia si basa sui numeri, ma non nasce dai numeri: è qualcosa che potremmo definire molto più filosofico, spirituale…

I numeri sono lo strumento fondamentale per eseguire, ma il motivo profondo sono le motivazioni personali. Finché ci sono problemi da risolvere, il motore dell’innovazione è sempre acceso, purché ci siano soggetti capaci di mettere in connessione le potenzialità che ci danno la tecnologia, la scienza e il sapere per immaginarsi un mondo leggermente diverso.

L’individuo fa la differenza, dunque. Nel suo libro, però, anche lo Stato ha un importante ruolo da giocare. Siamo sulla strada giusta in Italia?

Lo Stato ha l’obiettivo di definire le regole del gioco e creare le condizioni affinché ci sia circolarità tra sapere, scienza, sviluppo tecnologico, economico e benessere sociale. Quindi è il grande architetto di questo sistema, definendo quali sono le macro aree su cui investire. Poi ci sono i singoli e i gruppi di singoli, che sono gli artefici di startup innovative. In Italia molto si è fatto per rimuovere ostacoli burocratici e legislativi affinché si creasse impresa innovativa, ma sicuramente siamo ancora indietro per quanto riguarda il tema della capitalizzazione, del venture capital, che a tutt’oggi è uno dei meno capitalizzati d’Europa.

Il Nord Italia fa la parte del leone nel venture capital…

Le startup innovative tecnologiche scaricano a terra tutte le potenzialità che derivano dallo sviluppo tecnologico, che può avere un grandissimo impatto nella produttività delle imprese piccole, medie e grandi e quindi le ricadute positive non sono poi solo per le nuove realtà. Potremmo parlare di effetto moltiplicatore della tecnologia: un processo di rivitalizzazione anche delle Pmi italiane che può avvenire anche grazie all’impatto di startup innovative che possono prendere la leadership in un grande ecosistema fatto di scambi. Io per anni ho fatto il country manager di Google, che ha rappresentato per tantissime imprese la possibilità di accedere a mercati internazionali dal punto di vista digitale: mi auguro che questo possa avvenire anche per mezzo di startup italiane, che possano offrire piattaforme distributive e di comunicazione digitali che consentano alle Pmi di diventare più efficienti.

Nel nostro Paese spesso la dimensione digitale viene vissuta più in termini di contrapposizione che d’integrazione…

Il digitale è un po’ come citare le note musicali. Sono a disposizione di chiunque voglia suonarle. Ovviamente è un grandissimo acceleratore di opportunità e chiunque non lo utilizza paga uno svantaggio competitivo, che purtroppo è una delle caratteristiche del nostro sistema, che è poco propenso a utilizzare strumenti innovativi.

Ma tra i contemporanei italiani c’è qualche genio tipo quelli del passato?

Noi riceviamo più di duemila proposte d’investimento l’anno, incontriamo un imprenditore al giorno e facciamo 4 investimenti all’anno: di italiani capaci che stanno lavorando a progetti interessanti ne vediamo tantissimi. Siamo a Milano, conosciamo benissimo la produttività Nord Italia, che è tra le maggiori d’Europa: se fosse in grado di valorizzare le proprie capacità manifatturiere anche con le possibilità rappresentate dal digitale nell’espandere i mercati e nell’aumento della produttività, sicuramente potrebbe giocarsi una partita importantissima. I fuoriclasse in Italia ci sono ancora, bisogna però costruire un campionato di fascia alta dal punto di vista dell’innovazione e della tecnologia per evitare che vadano a giocare da altre parti.

Qual è dunque il suo consiglio ai nostri imprenditori?

Cominciare a sperimentare logiche d’interazione con tecnologie abilitanti che possano consentire a queste imprese di fare un salto dimensionale forte.

 

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