Realismo terminale

di Milani

Se la betoniera delle metropoli ci mescola con gli oggetti, la poetica di Guido Oldani scuote le coscienze. A 71 anni, è uno dei poeti più autorevoli al mondo: tradotto in tutti i continenti, ha saputo incidere sulla tradizione letteraria, fondando nel 2010 il movimento poetico secondo cui la natura sembra voler sempre più somigliare agli oggetti

di Filippo Brusa

Oldani, se dovesse spiegare il Realismo Terminale e la similitudine rovesciata a un bambino che cosa direbbe?
L’impresa è semplice, perché i bambini sono nati in questo millennio, insieme al Realismo terminale. Direi quasi che l’hanno in parte nel loro patrimonio genetico. Dopo il 2000, nel mondo, c’è più gente che vive nelle città che non fuori. L’accatastamento dei popoli è progressivo. Dunque, la distanza fra i corpi viventi e gli oggetti, a loro mescolati, è uguale a zero. Questo zero è il Realismo. Si chiama “Terminale” perché ovunque le popolazioni sono arrivate quasi a compimento del loro viaggio di sovrapposizione reciproca nelle città. La similitudine rovesciata è sempre esistita ma rara e senza nome specifico. L’ho dovuta denominare rovesciata, perché la sua presenza nel linguaggio oggi è imponente. Che vuol dire? In passato i paragoni erano soprattutto fra natura e natura. Ad esempio: «tu hai gli occhi azzurri come il mare», «tu hai la pelle bianca come la luna». Oggi, e i bambini lo sanno bene, è molto incrementato il confronto fra natura e oggetti, cui la natura stessa sembra voler somigliare sempre di più. Diremo allora: «sei veloce come un treno»; ancora: «lui è brutto come uno straccio»; «sei fastidioso come un tritacarne in funzione». Ecco detto: il secondo tipo di similitudine è la similitudine rovesciata e ci si può divertire a inventarne un’infinità. Mi pare semplice, no? Questo è il nostro tempo.

Secondo il critico Amedeo Anelli lei segue la linea dantesca della tradizione letteraria italiana. Dante è stato demiurgo della parola poetica italiana. Come è possibile incidere oggi sul linguaggio letterario?
La mia poesia è assimilabile alla linea dantesca, anziché a quella petrarchesca, che è risultata vincente, perché in lei è sempre presente una riflessione ed una pensosità, al di là dell’ironia che a volte traspare. È una poesia che non rifiuta né evita i significati, anzi a volte li promuove. Oggi non mi pare che la linea dantesca goda di grandi favori, però è lampeggiante e sempre di ostacolo all’ingenuità della scrittura poetica in atto. Ritengo che si possa operare sul linguaggio letterario contemporaneo, leggero e confuso, solo se si hanno delle idee precise e delle conseguenti modalità tipiche di scrittura. Allora anche i più disattenti o volutamente censuranti, sono in difficoltà a replicare e dunque lasciano scoperto un fianco all’opportunità che il realismo terminale, a me caro, sembra apportare implacabilmente. Come a dire che si può evitare il nuoto, ma se viene il diluvio universale, anche i più pigri o riottosi, qualche mossetta con le braccia la debbono pur fare. Penso che il Realismo Terminale sia uno scalpello e non un chewing gum, per cui incidere nel linguaggio gli è naturale. Grazie a un’infinità di similitudini rovesciate o metafore, a parità di dizionario, il linguaggio viene di molto ampliato.

Qual è il limite poetico del Novecento e quali sono le voci che sono state capaci di incidere davvero sulla tradizione letteraria del secolo scorso?
Il secolo scorso ha goduto di molta intelligenza letteraria; questo, che lo ha avvantaggiato da una parte, ha però generato un clima e una continuità di brillante artificiosità che, alla lunga, ha portato nelle secche nelle quali l’intramontato Novecento continua a muoversi. Ha avuto così tante scuole che, alla fin fine, si è generata una girandola di modalità, che, anziché rassicurare, ha portato fino alla attuale ripetuta incertezza. In una visione realistico terminale, vedo buone radici nella figura di Clemente Rebora, ma anche, più tardi, in qualche tratto di Cesare Pavese e un certo Pierpaolo Pasolini, per arrivare alla fine del secolo a una qualche contiguità, (non continuità) con il poeta Giampiero Neri. Certo che se voglio trovare quale sia stato l’inventore stilistico più rilevante in assoluto, non posso che pensare al, per me lontanissimo, efficace Giuseppe Ungaretti.

Foto: 1989, da sinistra David Maria Turoldo, Guido Oldani e Roberto Rebora


UNA PIUMA SUL BARATRO

Poetando ha seguito Guido Oldani durante la manifestazione intitolata «La piuma sul baratro», che è andata in scena al Palazzo di Farnese di Piacenza per 25 ore filate, tra sabato 13 ottobre e domenica 14 ottobre. Circa 130 poeti italiani, non solo esponenti del «Realismo Terminale», si sono alternati nella lettura ininterrotta di poesie.

In anteprima per i lettori di VareseMese uno speciale sulla manifestazione.

speciale poetando


 

 

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