BUSTO ARSIZIO: Il sussidio dimenticato

di Milani
sussidio dimenticato

Lo storico Paolo Rusconi ci guida alla scoperta dell’opera di Alessandro Pandolfi nel santuario francescano di Busto Arsizio, dove l’artista aveva molti estimatori. Tanto che abbiamo scoperto che in sua memoria era stata istituita una borsa di studio di cui si sono perse le tracce

Elisabetta Farioli
redazione@varesemese.it

E’ l’anima di un rione da qualche decennio soprannominato “Parioli”. Stiamo parlando della parrocchia del Sacro Cuore, meglio conosciuta come la chiesa dei Frati Minori, suggestiva cornice del coronamento dei sogni di tanti giovani bustocchi che qui hanno pronunciato il loro “sì”. Preziosi momenti che segnano la partenza di una nuova vita, per cui si predilige appunto una “cornice” altrettanto di valore. Qui si possono infatti ammirare importanti testimonianze artistiche, in particolare di Alessandro Pandolfi.

Conosciamo allora l’opera di questo artista abruzzese partendo dai dipinti del presbiterio. A sinistra dell’altare maggiore sono raffigurati “Il Presepe di Greccio e “Il Cantico delle creature”, di fronte, “Il lupo di Gubbio” e “La morte di San Francesco”. “In origine i religiosi avevano espresso il desiderio di sostituire queste ultime due scene con soggetti ispirati all’Eucarestia, ma la richiesta non raccolse consensi”, spiega lo storico Paolo Rusconi, studioso dell’artista.

Il ciclo murale fu commissionato nel 1945 da Francesco Bianchi, allora padre guardiano del Convento. “La sua pittura, infatti, rifletteva il gusto collezionistico bustese rappresentato, allora, da personaggi illustri come Giovanni Uberti Bona, Nino Maglia ed Ettore Rossi”, prosegue Rusconi. Quelli che cita sono nomi importanti da ricordare, alcuni dei quali figuravano come i committenti dei lavori. I carteggi rinvenuti, appartenenti a Ettore Rossi e la serie di informazioni ritrovate, hanno reso possibile la ricostruzione della cronaca dei dipinti e la relativa questione finanziaria che risulterà determinante in tutta la vicenda.

Delle Quattro lunette, solo due vennero ultimate nel 1946: “Il Presepe di Greccio e “Il Cantico delle Creature”. La somma fissata per l’esecuzione completa, infatti, pari a 200.000 lire non era stata ancora raggiunta. L’esecuzione completa dei dipinti avvenne tra luglio e agosto del 1948. L’entusiasmo con cui Pandolfi affrontò l’impresa – continua lo storico – ebbe come un senso di rivalsa per l’esito negativo della precedente fatica, l’affresco gallaratese intitolato “La Gloria”, dipinto prima della guerra e poi coperto dopo la caduta del regime.

Il lavoro di Busto fu molto impegnativo per l’artista tant’è che, in una lettera ritrovata, scriveva: “Questi disegni mi hanno sfibrato; le pieghe delle tonache non vanno mai bene!… le rifaccio cinque – sei volte!”. Tanta fatica valse tanto successo tra i fedeli e tutta la città.

“Il pittore si espresse con un repertorio di forme e motivi in parte già sperimentati nel dipinto gallaratese e nella produzione ceramica con evidenti richiami al proprio lavoro. Vennero esaltate le sceneggiature umbre anche se – precisa lo sudioso – gli sfondi paiono ambientati nelle contrade abruzzesi piuttosto che nella campagna umbra. Particolari interessanti, nel racconto di Pandolfi che, per il realismo minuzioso e accurato con cui si è espresso, sono la rappresentazione dell’autoritratto (nella lunetta dedicata a “Il lupo di Gubbio) dove lo si riconosce in veste agreste. Anche altri personaggi noti dell’epoca, sono stati ritratti e inseriti in ruoli differenti nelle diverse rappresentazioni. La chiave interpretativa dei dipinti murali è nella voluta contrapposizione tra il plasticismo massiccio delle figure e il montaggio, quasi bidimensionale, delle stesse rispetto al piano. Una modalità cara, negli anni Trenta, a pittori di stretta osservanza novecentista”.

Nella chiesa, oltre ai dipinti, di Pandolfi si possono ammirare le ceramiche dedicate alla Madonna dell’Aiuto (1943 – nella cappella del Crocifisso), dove è possibile vedere, nello sfondo, oltre ai monti abruzzesi uno scorcio della città di Busto con il santuario di Santa Maria, le ciminiere e… uno specchio d’acqua. “L’acqua – sottolinea Rusconi – fu rappresentata in seguito a un errore iconografico: Pandolfi pensava al gesto miracoloso della Vergine atto a fermare un’inondazione e non la peste…”.

Un’altra ceramica firmata da Pandolfi, è dedicata a Santa Rita da Cascia, consegnata ai religiosi durante la settimana Santa del 1948 e visibile sulla parete laterale della cappella di San Carlo (navata destra). “In origine la sua collocazione non era la stessa– sottolinea lo studioso – ma poteva essere, secondo il suggerimento dei donatori Nino Maglia e Ettore Rossi, a lato dell’altare maggiore. Mantengono invece la medesima sede le dodici formelle raffiguranti le tre Chiese di Assisi e i nove episodi della vita di San Francesco, murate, a struttura di Croce, nella cappella dedicata al Santo e donate dal Maglia. Non ci sono tracce, e nulla si è più saputo, delle formelle con i simboli della Passione che avrebbero ornato la parete dell’altare del Crocifisso…”. Dell’artista anche la ceramica dedicata a Santa Rita da Cascia, nella cappella di San Carlo; le dodici formelle raffiguranti le tre Chiese di Assisi e i nove episodi della vita di San Francesco, murate a struttura di Croce, nella cappella dedicata al Santo.

Pandolfi aveva coltivato in città molte amicizie ed estimatori. Quando morì venne istituita, in sua memoria, una borsa di studio destinata a un aspirante alle missioni francescane. Un riconoscimento andato perso nel corso degli anni, ma che sarebbe interessante riproporre – magari in chiave artistica – in onore delle tradizioni bustocche.

 

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